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13 Dicembre 2013A proposito di parolacce… C’è un’altra parola che mi viene in mente, proprio ora, per immediata associazione. È in uso nel linguaggio corrente già da qualche anno ed è “sdoganamento”. Lo sdoganare, in senso proprio, è un’attività che riguarda merci provenienti dall’estero e che, all’esito di controlli di dogana circa la loro regolarità rispetto alle leggi del paese in cui chiedono di entrare, e magari dopo il pagamento di un dazio, sono lasciate libere di circolare. Così, comportamenti e parole fino a poco fa appartenenti a “territori proibiti”, se “sdoganati vengono lasciati entrare nelle abitudini consuete e nel linguaggio. Sono, in qualche modo, moralizzati, ossia divengono parte dei mores cioè del costume, delle abitudini e non infastidiscono più nessuno. Magari qualcuno si, ma non ci si può fare più granché.
O tempora, o mores! Si diceva una volta.
La parolaccia, che linguisticamente è una forma dispregiativa del lemma parola, è utilizzata invalsamente dall’uomo, fin dalle origini delle civiltà e le scienze ci insegnano che tutto ciò che resiste al tempo ha una sua funzione finché non sparisce. È possibile anche una classificazione delle parolacce in base all’uso che si fa di esse. Ci saranno pertanto:
Le IMPRECAZIONI: sono una forma di interiezione e servono a liberare la propria aggressività. Es. porca miseria! (leggerotta…), cazzo! (media…) e così via; tra le imprecazioni sono anche le profanità ( utilizzo dei termini sacri al di fuori dei contesti religiosi) e le bestemmie. In effetti imprecare è strettamente connesso a pregare, ma è un pregare contro: non il bene ma il male. Gli INSULTI: sono espressioni utilizzate per ferire ed attaccare; quando si litiga, tipicamente, o quando si vuole colpire il più violentemente possibile senza passare alla violenza fisica o appena prima di passarvi. Le MALEDIZIONI: sono proprio quelle espressioni in cui si augura il male. Es.: Ti potesse venire un accidente! O il colorito romanesco Mortacci tua!
Nel corso dell’indagine sulle parolacce abbiamo scoperto che c’è un giornalista italiano, Vito Tartamella, laureato in filosofia, che nel 2006 ha pubblicato uno studio sul turpiloquio. Tartamella ritiene che la parolaccia serva a parlare, servendosi di un registro molto basso, delle pulsioni fondamentali dell’uomo e di temi per lui fondamentali. Il turpiloquio s’incentra per lo più sul sesso, sulle funzioni metaboliche, sulla religione e dà espressione a tutte le emozioni primarie dell’uomo: sorpresa, disgusto, rabbia, paura, divertimento. ecc. Senza volersi addentrare troppo nel territorio di Tartamella, in questa rubrica, che si chiama Salviamo le Parole ma che potrebbe anche chiamarsi Sveliamo le Parole, mi corre l’obbligo di affrontare il significato della parolaccia italiana per definizione, quella che capiscono anche all’estero e che può, data la sua potenza, costituire il mantra aggregativo di un intero movimento politico. La parola è vaffanculo. La prima osservazione da farsi è che vaffanculo è chiaramente la contrazione di va’ a fare in culo, modo verbale imperativo, e che inerisce chiaramente alla sfera sessuale. Ora, nel momento in cui questo vigorosa esortazione venga rivolta ad un uomo è chiaro che l’invito riguarda un rapporto omosessuale. L’effetto offensivo, peraltro, al di là dell’ovvio contenuto omofobo, come si usa dire oggi, può anche inerire alla sottomissione legata al rapporto omosessuale nel ruolo passivo. Nella Roma repubblicana e poi imperiale l’uomo doveva dominare tutti e con tutti i mezzi a sua disposizione, soprattutto se si trattava di nemici o di persone di rango inferiore, come gli schiavi di casa e gli ex schiavi. La sessualità, essenzialmente fallica era, allora come oggi, uno strumento per dominare, affermare la propria superiorità e perciò sottomettere gli “altri” che fossero donne, uomini o ragazzi.
Certo, se si pensasse oggi a tutte queste implicazioni, si rifletterebbe come minimo due volte prima di usare il “vaffanculo”.
Vaffanculo, oggi, è rimasta un’imprecazione che reca con sé sdegno, disprezzo o impazienza. Possiamo quasi dire che anche il vaffanculo sia stato sdoganato. E così che la sua connotazione sessuale resta sfumata, sullo sfondo, mentre la sua portata offensiva risulta di molto attenuata.