Principi di dieta musicale – I tempi pari e i tempi dispari – Patrizio Fariselli
2 Ottobre 2013Dialogo tra un omino ed una fanciulla
5 Ottobre 2013Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de’ nostri,
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Italo egregio, il fato? O con l’umano
Valor forse contrasta il fato invano?
È questa la prima strofa della canzone che Leopardi dedica ad Angelo Mai, cardinale, teologo e filologo italiano che, tra gli anni dieci e venti del XIX secolo rinvenne, grazie all’utilizzo di acido gallico, un cospicuo numero di opere straordinarie nascoste nei palinsesti medievali.
Ai preziosi scritti era successo un po’ quello che accadde a certi dipinti, o ancora prima a certi affreschi: d’essere ricoperti da qualcos’altro e poi, a sorpresa, d’essere ritrovati. Qui, però, non perché nascosti da strati di pittura, quanto perché fatti riaffiorare, a dispetto della volontà di chi non li aveva semplicemente coperti ma, addirittura, cancellati.
La parola palinsesto (dal greco palin, di nuovo e psestòs, participio passato di psào, gratto) sta proprio ad indicare la sorte di certe pergamene che venivano sovrascritte, dopo l’abrasione della scrittura esistente. La pratica è legata alla scarsità, tra l’antichità e il medioevo, di pergamene, supporto ideale, data la resistenza superiore a qualsiasi altro materiale. Solitamente venivano sovrascritti testi letterari, giuridici e liturgici, probabilmente perché ritenuti superati dagli amanuensi, avidi di pergamene. Non erano però superati per i moderni che, attraverso la lettura dei palinsesti, riscoprirono tesori altrimenti perduti per sempre, come appunto fece Angelo Mai con il De Republica di Cicerone: l’impresa, come visto, gli valse i fervidi apprezzamenti di un giovane Leopardi. Oggi il solfidrato di ammonio, nocivo alle pergamene tanto da non consentire una seconda lettura, è stato sostituito dalle foto con i raggi ultravioletti. Non credo tuttavia si sia perduto il fascino del “disvelamento” che l’esperienza di trovare dietro parole antiche parole ancora più antiche, mani su mani, deve riservare agli studiosi di palinsesti. Oggi, la contemporaneità, la società della comunicazione, ci consegna un’accezione ironica e spoetizzata della parola palinsesto: come tutti sappiamo e capiamo immediatamente, il palinsesto è il “Prospetto schematizzato delle trasmissioni radiofoniche e televisive, comprendente le caratteristiche tecniche dei singoli programmi e le indicazioni delle ore e dei minuti a essi riservati, predisposto per un determinato periodo di tempo”. Questo ci dice la Treccani on line… Il perché di tale utilizzo è legato al fatto che la costruzione dei palinsesti, un po’ come l’orario scolastico su cui i docenti si disputano ultime ore e riposi, è spesso oggetto di rimaneggiamenti, riscritture e inserimenti successivi, tanto da renderlo, prima di una organizzazione definitiva, di ardua lettura. Come appunto, una pergamena scritta due volte.
O come il romanzo Il Nome della Rosa per Jean Jacques Annaud. Annaud, che nei titoli di testa dell’omonimo film scrisse “tratto dal palinsesto del Nome della Rosa di Umberto Eco”. A significare: “Ho grattato via quel che non mi serviva. Ed ecco qui.