E poi, non è un titolo tautologico? Che razza di incompetenti questi sceneggiatori! Se si consulta un dizionario dei sinonimi e dei contrari, infatti, le due parole sono indicate l’una come sinonimo dell’altra. Eppure, sono lemmi con origini e sfumature di significato diverse. Vergogna, che passa attraverso il sostantivo verecondia (
la verecundia è una paura di disonoranza per fallo commesso, Dante), è parola collegata alla radice del verbo vereor, deponente, il cui significato è di venerare, rispettare. Nella vergogna ci sono la colpa e l’umiliazione legati ad un comportamento proprio o altrui che provoca disagio. Ma vergogna è anche il disonore e l’infamia. “
Sei una vergogna” dice il padre al figlio per stigmatizzare un’azione che lo offende, per fare leva efficamente su di lui pensando, magari, di riuscire a modificarne il comportamento. Quindi, voglio indurre in te lo stesso senso di vergogna che tu fai provare a me.
Il pudore ha più a che fare con il riserbo. Personalmente trovo che pudore, forse per l’associazione con l’idea di persona pudìca (attenti agli accenti, è parola piana!) abbia una sfumatura di delicatezza: il pudìco è mite, parla con voce sommessa, non vuole dar fastidio a nessuno. Anche in questo caso l’etimologia è collegata al latino, al verbo pudeo, sia transitivo che intransitivo, cioè con la doppia accezione di indurre sentimenti di pudicizia in qualcuno che di provarli.
C’è da dire però che sia nel caso della vergogna che in quello del pudore è presente un contenuto sessuale. Non per nulla le vergogne e le pudenda sono modi per indicare eufemisticamente gli organi genitali.
“Allora si apersero gli occhi di ambedue e si accorsero di essere nudi; così cucirono delle foglie di fico e fecero delle cinture per coprirsi.” Genesi 3,1- 7. Cosa era accaduto ad Adamo ed Eva? Si accorsero d’essere nudi. E il senso della vergogna è proprio questo, presa di coscienza che quanto di più intimo e personale abbiamo, nel corpo gli organi genitali, è esposto. E per questo provo vergogna. Ma la vergogna può accadere, ossia essere l’effetto di una privazione da ogni protezione, come quando cadono le maschere. Per dire infatti, ho fatto capire a tutti chi realmente lui sia, posso anche dire “l’ho svergognato davanti a tutti”. Ti spoglio, metto a nudo quello che sei veramente nonostante quello che vuoi far credere, coprendoti.
Il pudore invece, segna il limite, il confine della propria individualità.
Come scrive Monique Selz nel suo: “Il pudore. Un luogo di libertà” (Einaudi 2005):
“Prima di essere un dovere morale, il pudore è una necessità vitale.”
Il pudore è il segnale che mi dice che oltre una certa soglia, non si può andare: lì dentro ci sono solo io, e non so se mi va che tu veda come sono, devo potere decidere quando e se. Come “Nel cuore, nell’anima” di Lucio Battisti, dove si dice:
Nel mio cuor
nell’anima
c’e’ un prato verde che mai
nessuno ha mai calpestato, nessuno,
se tu vorrai
conoscerlo
cammina piano perche’
nel mio silenzio
anche un sorriso puo’ fare un rumore.
Non è forse una canzone sul pudore e gli spazi che questo preserva? Il pudore come la vergogna, in modi diversi, attiene all’intimità, a quello che c’è dentro. È un po’ quello che succede a chi scrive poesie e non vuole farle leggere a nessuno.