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Ci sono tanti modi di raccontare.
Laurie Anderson nota performer, musicista e regista si definisce ‘narratrice soprattutto’ e alla sua maniera racconta della morte, della relazione che la morte ha con l’amore, del linguaggio e dei suoi limiti.
È quindi proprio con lo spirito di chi è pronto ad accogliere una narrazione che bisogna accostarsi ad Heart of a Dog, lungometraggio diretto dalla Anderson, commissionatole dalla rete televisiva franco-tedesca Arte, realizzato nell’arco di tre anni circa ed uscito nelle sale nel 2015.
Una curiosità per noi interessante è che la versione per l’Italia del film ci regala la voce di Laurie senza doppiaggi: l’artista parla italiano, lingua che studia e legge fin da bambina.
Addentrandoci nella visione notiamo che il film è caratterizzato da una totale libertà di espressione, sia per quanto riguarda gli aspetti tecnici e realizzativi – l’uso di brani filmati anche tramite Go-Pro si alterna a video, fotografie, disegni – sia per le modalità in cui si svolge il racconto, flusso di coscienza poetico, riflessione filosofica a voce alta e sogno ad occhi aperti.
D’altronde quello de “i limiti del linguaggio” è uno dei territori che Laurie Anderson studia da sempre con grande attenzione e lucidità.
Il suo racconto attraversa episodi particolarmente significativi della sua vita: l’esperienza avuta da bambina in un ospedale pediatrico quando fu vittina di un gravissimo incidente; la scomparsa di un caro amico e quella della madre; New York dopo l’11 settembre 2001; la vita e la morte della amata cagnolina Lolabelle, anche lei musicista e pittrice.
Frase che guida e illumina l’opera come un mantra è “Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi” di David Foster Wallace: forse perché prima o poi tutto si conclude ma, in verità, non finisce.
Dice la Anderson che la morte serve a liberare l’amore. Avviene quindi così che il Bardo Thodol, il libro tibetano che descrive le esperienze che l’anima attraversa dopo l’abbandono del corpo, arrivi a costituire il filo che tiene unito ogni episodio, ogni perdita subita dall’Autrice ma anche ogni dispiegarsi, davvero pienamente, dell’amore.
Non si parla di Lou Reed in questo film, l’artista amato marito dell’Anderson e mancato nel 2013.
La sua presenza è però sullo sfondo, sempre sottintesa e lo si intravede solo per un attimo, in una scena, vestito da medico. Chiude però con una sua canzone: Turning time around – that is what love is/Turning time around – yes, that is what love is.
Infine un consiglio: se si vuole assaporare davvero il film e la sua versione solo audio e lasciarsi coinvolgere, bisogna abbandonarsi all’esperienza che l’opera regala adottando la stessa attitudine onirica con cui è stata creata.
Il disco di Laurie Anderson tratto dal film
(versione italiana):
(versione inglese):