L’arte dell’agguato degli sciamani, Carlos Castaneda | RadioRacconto
20 Aprile 2020DiscoRacconto | Maestrale – F.Gambetta, C.Russo, S.Caputo
23 Aprile 2020A cura di Paolo Maria Clemente
Dopo averlo iniziato all’arte di sognare, Don Juan insegna a Castaneda l’arte di vedere l’energia nel mondo della veglia. E’ qui che ho sentito la mancanza di un maestro, perché con le mie sole forze questa benedetta “energia” non sono mai riuscito a vederla. Non potendo seguire su questa strada il cammino di Castaneda come mi era riuscito di fare per il sogno lucido, ho cominciato a chiedermi se nella veglia esistesse un’esperienza paragonabile a quella del sogno lucido che non fosse appunto quella di vedere l’energia: se la coscienza vigile era in grado di alterare il mondo del sogno, anche lo stato di coscienza del sogno avrebbe potuto contaminare il mondo della veglia.
Ciò corrispondeva all’esplorazione dei confini tra la vita cosciente e la vita onirica condotta sistematicamente dai surrealisti negli anni ’20. Mi colpì, in particolare, un esperimento da loro compiuto vagando a caso per le campagne di un paesino della Francia scelto a caso. In questa deambulazione casuale – che Debord chiamerà “deriva” – avevo finalmente trovato un’esperienza della veglia simmetrica al sogno lucido che potessi praticare anche senza la guida di un maestro.
L’esperimento di erranza campestre effettuato da Breton e compagni negli anni ’20 sembrava morto lì finché Debord non l’aveva riproposto una trentina di anni dopo, apportandogli due modifiche rilevanti: la deambulazione si sarebbe svolta in città e non sarebbe stata in balia del caso ma determinata dalla particolare atmosfera dei quartieri attraversati. Nella deriva di Debord, infatti, una o più persone vagano per la città lasciandosi guidare dalle “… sollecitazioni del terreno e degli incontri che vi corrispondono. La parte di aleatorietà è qui meno determinante di quanto si creda: dal punto di vista della deriva, esiste un rilievo psicogeografico delle città, con delle correnti costanti, dei punti fissi e dei vortici che rendono molto disagevoli l’accesso o la fuoriuscita da certe zone. Ma la deriva, nella sua unità, comprende nello stesso tempo questo lasciarsi andare e la sua contraddizione necessaria: il dominio delle variazioni psicogeografiche attraverso la conoscenza ed il calcolo delle loro possibilità”. (3) E’ chiara l’intenzione di Debord di prendere le distanze dall’esperienza dei surrealisti riducendo al minimo il ruolo del caso per arrivare a tracciare una mappa “psicogeografica” dei luoghi che sia il più possibile scientifica, ovvero intersoggettivamente valida. In ciò Debord rivela la stessa aspirazione all’oggettività e all’universalità che caratterizza anche la ricerca degli archetipi dell’ermeneutica di Jung, Hillman e Aizenstat, nonché la concezione dei mondi onirici di Castaneda.
Non contento di questa impostazione, ho rielaborato la tecnica della deriva in modo da dare più spazio alla singolarità, intendendo con questa tanto quella dell’individuo che quella dell’ambiente circostante. Se, infatti, ci mettiamo in un’ottica di anarchismo epistemologico (4) , accettando l’unicità e l’irripetibilità dell’esperienza individuale, creiamo le premesse per far dialogare la singolarità che è in noi con la singolarità fuori di noi. Ecco perché preferisco interpretare la “deriva” come una forma di comunicazione “transumana” (5) il cui scopo non è più quello di tracciare una mappa psicogeografica utilizzabile da altri, ma di favorire l’interazione con il cosiddetto “mondo inanimato”. Rispetto all’impostazione “scientifica” di Debord, interessato soprattutto ad individuare l’influsso costante dei diversi quartieri urbani sullo stato d’animo degli abitanti, il mio approccio è volto ad individuare la risposta dell’ambiente all’attenzione dei derivanti. Anch’io, come Debord, interpreto il percorso dei derivanti senza fare riferimento al “caso”, ma solo per sostituirlo con quello ancor meno scientifico di “Zona”. (6)
Per spiegare come funzioni una deriva, racconterò una deriva in automobile che ho fatto insieme ad un amico, nella quale si era concordato che avremmo sostato ad ogni incrocio finché un qualche segno (7) non ci avesse suggerito da che parte svoltare. Il primo segno è stato un cespuglio mosso dal vento all’angolo alla nostra sinistra. Poi abbiamo seguito qualche altro segno come il passaggio di un gabbiano o il passaggio di un tizio con una maglietta surreale, finché non ci siamo trovati di fronte a questa apparizione: due biciclette rovesciate sul marciapiede in posizione simmetrica. Niente di straordinario, si dirà, eppure quello spettacolo inatteso aveva il fascino di un’opera d’arte involontaria.
Di questa esperienza e di altre simili possono essere date due interpretazioni, a seconda che si adotti un’ontologia monistica o dualistica. Nell’ontologia monistica – o semplice, perché propria della scienza e del senso comune – i derivanti si limitano a giocare con il caso; nell’ontologia dualistica, il caso viene sostituito da un’entità extraumana: la Zona. Vediamo per prima la deriva ad ontologia semplice, quella che non confligge con l’ordinaria concezione del mondo inanimato. In questa versione “light”, la deriva è un gioco di alea che permette ai partecipanti di evadere temporaneamente dai consueti itinerari cittadini. Questa deriva, che si può chiamare anche “ludica”, procede con una successione di domande e risposte in cui le domande le pone l’uomo e le risposte le forniscono gli eventi casuali che si verificano nell’ambiente circostante. Tali domande non vengono poste a casaccio, ma all’interno di un preciso schema di gioco. Ad ogni incrocio di strade, infatti, i derivanti chiedono all’ambiente circostante: “da che parte dobbiamo andare?”; e l’ambiente prima o poi risponde con un “cenno” (8) , cioè con un evento casuale che diventa un messaggio nel momento in cui se ne trae un’indicazione per la strada da prendere. Ma i partecipanti sanno benissimo che la risposta dell’ambiente è assolutamente casuale e che la deriva si sviluppa come come se dall’altra parte ci fosse qualcuno in grado di rimandare la palla ai derivanti, mentre i derivanti sanno benissimo che dall’altra parte non c’è nessuno e che la palla torna indietro solo perché ha rimbalzato contro un muro. Nella deriva ludica, in pratica, si va a caccia di eventi insoliti ed il percorso realizzato riproduce, sulla pianta della città, il concatenarsi delle decisioni che i derivanti hanno arbitrariamente preso ad ogni angolo di strada. La traiettoria percorsa dalla deriva risulta eccentrica e imprevedibile perché il reticolo stradale contiene molti punti di biforcazione nei quali ogni scelta è in grado di cambiare radicalmente gli sviluppi successivi. In ciò la deriva ludica si differenzia da quella di Debord che per effetto delle correnti psicogeografiche dovrebbe battere sempre gli stessi percorsi, come si evince anche dalla scelta del nome “deriva”, che allude alla capacità di trascinamento delle correnti marine.
[Continua….]
…nel prossimo appuntamento, Paolo ci parlerà
dell’ipotesi dell’esistenza di una “Zona” extraumana; delle possibili interpretazioni delle “apparizioni” durante il Gioco della Deriva; di come essere “spaesati nel proprio paese” e come convertire l’ordinario in straordinario…
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(3) G. Debord, “Teoria della deriva”, p.56.
(4) P.K. Feyerabend, Tesi sull’anarchismo.
(5) Uso qui il termine in senso etimologico, non tecnologico.
(6) Il termine contiene un riferimento non casuale al film “Stalker” di Tarkovskij.
(7) Quando si parla di “segni”, il pensiero va inevitabilmente alla superstizione che fa attribuire, ad esempio, un
significato negativo al passaggio di un gatto nero o al numero 13. Nella deriva segni come questi vengono spogliati di
ogni contenuto simbolico – non importa se positivo o negativo – e ridotti al nudo carattere di cenni che indicano una
direzione.
(8) Cfr. M. Heidegger, Il principio di ragione, p. 217.
●△● “Il Sogno Lucido e la Deriva Transumana”
è un articolo in 5 parti di Paolo Maria Clemente. Queste verranno pubblicate in successione qui nella sezione “Agitazioni” del sito. È un’introduzione ai fondamenti teorici del “Gioco della Deriva“ – che Paolo ha chiamato così in onore al primo che ne ipotizzò una qualche esistenza: Guy Debord, negli anni ’50 – , in cui si intrecciano le idee dei situazionisti; quelle sul sogno lucido; la psicologia analitica; lo sciamanesimo.
Il “Gioco della Deriva” è un modo di esplorare, di “eccitare” il mondo, incredibile, con una serie di risvolti metafisici di enorme rilievo, secondo noi. È insomma una cosa da scoprire, importante ed avventurosa.
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Paolo Maria Clemente
nato a Sassari nel 1962, Paolo Maria Clemente è laureato in Filosofia e in Psicologia. Psicologo e psicoterapeuta attento al contesto sociale, esercita la libera professione ad Olbia e a Sassari. Dal 2000 al 2003 è stato rappresentante regionale per la Sardegna della “Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva” (S.I.T.C.C.) e dal 2004 al 2008 ha insegnato come docente a contratto “Elementi di psicoterapia in ambito educativo” nel Master in Clinica Educativa e dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi di Cagliari… […]
2 Comments
Mi sto iscrivendo per poter avere il pdf dell’intero articolo
avendo trovato molto interessanti le prime due parti
Ottimo Pietro, ad occhio e croce fra due settimane ce l’avrai!
[ululato]