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13 Maggio 2020A cura di Paolo Maria Clemente
E’ giunto il momento di chiarire il significato del termine “Zona”, che come ho detto viene dal film “Stalker” di Tarkovskij (21) . In questo film c’è un luogo, chiamato appunto “Zona”, che esaudisce i desideri dei visitatori; non qualunque desiderio di qualsiasi persona, solo i desideri profondi delle persone disperate. Il senso di questa disperazione è innanzitutto morale, come se la Zona dicesse: “Non ho nulla da darti se non hai sofferto perché in te non risiede nessuno” (22) ; ma è anche cognitivo, perché solo quando siamo con le spalle al muro troviamo il coraggio di abbandonare la logica umana ed aprirci al non umano. Nel film, gli effetti dell’incontro con la Zona tipicamente si avvertono a deriva finita, quando i protagonisti ritornano alle loro vite.
Anche la deriva transumana ha la tendenza a debordare nella vita di tutti i giorni, anziché rimanersene confinata all’interno di uno spazio-tempo circoscritto. Gli effetti sono soprattutto psicologici: un diverso atteggiamento verso la vita, consistente nel mutare il peso delle cose piuttosto che andare contro di esse (23) , e l’uso della deriva per risolvere problemi specifici. In quest’ultimo caso la Zona si trasforma in un’intelligenza superiore a cui affidarsi quando le scorte di razionalità sono finite. A questo proposito riporto integralmente il messaggio che mi ha mandato un mio allievo il giorno dopo aver effettuato una deriva come ultima spiaggia nella ricerca di un lavoro: “Con il mio amico siamo partiti alla ricerca di un lavoretto per la stagione invernale, ieri girando per le vie di un paesino di 7.000 abitanti abbiamo fatto una deriva che è durata massimo 10 minuti, e la nostra apparizione ci ha permesso di trovare lavoro, entrambi nello stesso posto, sembrava quasi impossibile trovare qualcosa, avevamo girato una trentina di locali con risultati pessimi, quando bastava semplicemente seguire il flusso…
I segni sono stati semplici, degli uccelli che volavano, una bambina che indicava da un terrazzo, e una busta che volava. La nostra apparizione è stata chiarissima: due piccoli foglietti staccati, uno era il biglietto da visita di una locanda, l’altro era un foglietto giallo, semplicemente con lo stesso numero di telefono del biglietto da visita; abbiamo raccolto tutto e alzando lo sguardo nello stesso momento abbiamo notato un furgone di fronte a noi con la scritta ‘felice’. Lì ci siamo fermati e abbiano pensato ‘la deriva è finita, il posto è quello’. Così è stato: abbiamo chiamato quel numero e la proprietaria ha detto che stava proprio cercando due persone da ieri, ed è come se avesse avuto un aiuto ‘divino’. Iniziamo già da stasera con la prova. E siamo qui da appena due giorni con oggi. Tutto è connesso e perfetto”.
Vorrei ora riprendere il confronto tra deriva e sogno lucido. A prescindere dal fatto che la deriva si svolge in gruppo, mentre il sogno lucido – tranne rare esperienze di sogno condiviso – è una pratica individuale, le due tecniche hanno in comune il fatto di far leva sulla consapevolezza per sospendere l’uso ordinario dell’ambiente (urbano nel primo caso, onirico nel secondo) (24). Oltre alla consapevolezza del contesto, un’altra caratteristica comune è la cosiddetta visione periferica (25): come il sognatore lucido, anche il derivante preferisce guardare intorno piuttosto che dritto davanti a sé (26). Ciò è coerente con lo spostamento dell’attenzione dalla propria persona all’ambiente circostante, che si schiude davanti al derivante come un paesaggio circondandolo allo stesso tempo come una stanza (27). In altre parole, il luogo in cui ci si trova viene percepito come un’unica entità animata anziché come una combinazione casuale di persone e cose. Rispetto alla consueta percezione della vita cittadina, ciò comporta un’inversione del rapporto figura/sfondo: il mondo umano perde d’importanza, mentre balza in primo piano l’ambiente urbano, dove si nascondono segnali intenzionali non classificabili come umani. La verità che in un lampo viene afferrata è l’intero, cioè il costituirsi del campo percettivo come un’unica entità. Con una metafora nautica, si può dire che la seconda attenzione del derivante ha l’effetto di far passare l’ambiente circostante dallo stato di opera morta a quello di opera viva: il volto della Zona che ammicca ai derivanti.
Sogno lucido e deriva differiscono invece nella pragmatica della comunicazione, per via dei diversi indizi metacomunicativi che servono da innesco alla consapevolezza: mentre nel sogno lucido il meta-messaggio “questo è un sogno” è affidato alle imperfezioni del mondo onirico, ovvero alle cose che “non tornano” nel sogno, nella deriva sono piuttosto le cose che tornano e ritornano, ovvero le armonie e le ricorrenze, a farci capire che la Zona sta giocando.
Le due tecniche realizzano una sinergia, perché nel sogno lucido la consapevolezza viene usata per stabilizzare l’effimero ambiente interno, mentre nella deriva la stessa consapevolezza cerca di rianimare il morto ambiente esterno. Le due pratiche si muovono parallelamente lungo il confine tra sogno e realtà, rendendo più reale il sogno, da una parte, e più onirica la realtà, dall’altra, con l’obiettivo non dichiarato di cercare dei passages tra i due mondi.
Oltre che con la deriva, il sogno è in comunicazione con la scienza sperimentale. E’ questo un caso particolare della relazione tra scienze, tecniche e spiritualità, che illustrerò attraverso una serie di coincidenze significative:
a) La prima coincidenza è che Stephen LaBerge, lo stesso ricercatore che per primo ha studiato scientificamente il sogno lucido, ha anche prodotto e immesso sul mercato la cuffia “NovaDreamer”, un dispositivo in grado di indurre artificialmente la consapevolezza di sognare (28).
Capace egli stesso di fare sogni lucidi, tanto da fare da cavia negli esperimenti dei laboratori del sonno, LaBerge ha dimostrato anche capacità tecnico-imprenditoriali rendendo accessibile a tutti la consapevolezza di sognare. E’ quindi un raro caso di ricercatore che si muove agevolmente sia nel campo della spiritualità che in quello degli affari. Proprio come Talete, il filosofo dell’acqua, che mise a segno una memorabile speculazione nella produzione dell’olio!
b) La seconda coincidenza è il fatto che il nome del fondatore della scienza sperimentale, Galileo, coincida con uno degli storici appellativi del fondatore del cristianesimo: “il Galileo”. Il senso metafisico che si cela in questa coincidenza potrebbe essere che cristianesimo e scienza
sperimentale abbiano una fine comune. In questa prospettiva, la fisica di Galileo avrebbe realizzato inconsciamente (29) una sinergia con l’opera del primo Galileo. Il desiderio inconscio della scienza sperimentale sarebbe allora quello di addomesticare il miracolo, attraverso realizzazioni tecniche che possano distribuire a tutti un surrogato di quello che nei cammini spirituali tradizionali era riservato a pochi. Un esempio per tutti: la passeggiata solitaria di Cristo sul Lago di Tiberiade dopo 2000 anni ha ispirato all’architetto Christo – nomen omen – un ponteggio galleggiante che in soli quindici giorni ha permesso a ottocentomila persone di camminare sul Lago d’Iseo.
Successi come questo farebbero supporre che la scienza sia l’unico modo per ottenere qualcosa dalla realtà (30) , ma non è così: la scienza è solo il modo più democratico, quello che garantisce lo standard ufficiale, il massimo comun divisore della conoscenza. L’universo, infatti, contiene anche qualcosa per te e solo per te, qualcosa che la scienza universale non può offrire a meno di negare se stessa. Per questo occorrerebbe una scienza della differenza e della singolarità, cioè una scienza che si potrebbe definire “fuorilegge” in quanto non formula leggi ma descrive avvenimenti; la scienza normale cerca ciò che accade sempre, la scienza fuorilegge ciò che non si ripete mai (31).
c) La terza coincidenza riguarda il Coronavirus, grazie al quale la medicina occidentale si è ripresa tutto lo spazio che nell’ultimo secolo le avevano sottratto le medicine alternative, imponendo la reclusione in massa della popolazione. L’effetto collaterale è stato quello di far allentare per due mesi il controllo dell’uomo sulla natura, con conseguente occupazione simbolica delle città da parte di frotte di animali allo stato brado. Nel limitare lo sfruttamento della natura da parte dell’uomo, il Coronavirus si è dimostrato più efficace di tutti i movimenti ambientalisti, animalisti e antispecisti messi insieme, confermando il detto di Hölderlin che dove più grande è il pericolo cresce anche ciò che salva.
D’altra parte, però, lo stesso Coronavirus ha sortito l’effetto di spingere fino al livello capillare le tecnologie del controllo, rendendo socialmente accettabile il monitoraggio in tempo reale degli spostamenti delle singole persone da parte dei comitati di salute pubblica. Non occorre essere dei complottisti per constatare che la pandemia ha sortito l’effetto di rafforzare tutti i governi dei paesi colpiti dalla pandemia, tanto da meritarsi l’appellativo di “Virus della corona”.
d) L’ultima coincidenza riguarda me, e solo io so quanto sia stata accidentale. Scegliendo l’aggettivo “transumana” per distinguere la concezione “metafisica” della deriva da quella “scientifica” di Debord, ho creato una sovrapposizione col termine “transumanesimo”, denotante un movimento culturale che si propone di traghettare l’umanità verso una condizione post-umana attraverso l’impiego massiccio delle tecnoscienze (32).
La prospettiva del transumanesimo è talmente lontana dalla mia che, per evitare equivoci, avevo anche pensato di sostituire l’aggettivo “transumana” con “oltreumana” o “ultraumana”, ma entrambi questi vocaboli presentano l’inconveniente di suggerire l’idea che l’uomo debba superarsi nell’oltreuomo o nel superuomo, mentre io intendo tenere aperta la finestra sul Non-Umano: un compito metafisico in cui si condensa la mission della filosofia. Con la quale bisogna ora fare i conti, dal momento che il discorso mi ci ha portato.
La filosofia nasce dallo stupore per l’esistenza, che si traduce in due domande fondamentali:
– “perché le cose sono così e non altrimenti?” (33)
– “Perché c’è qualcosa anziché nulla?” (34)
Domande come queste implicano un’inquietudine di fondo, un’insoddisfazione per le risposte tradizionali e, in generale, un’allergia per tutto ciò che è dato, che spinge a cercare altro. Ecco perché il filosofo è sempre altrove: altrove dalla religione in nome della scienza, altrove dalla
scienza in nome del singolo. Se nel VII secolo a.c. il nemico da battere era rappresentato dalla mitologia, a partire dal XVII secolo d.c. è diventato il controllo scientifico della conoscenza ed il suo rovescio: la scienza del controllo (35).
Ma anche se gli obiettivi possono cambiare, l’atteggiamento mentale del filosofo è fondamentalmente “contro”: egli si oppone sistematicamente alle concezioni dominanti, a cominciare dalle dottrine dei suoi stessi maestri. Ne deriva uno stato di derelizione che Saint-Exupéry conosceva bene: “Eccoti dunque come una bottega in cui ci sono soltanto oggetti da vendere. Ed ecco che resti da solo a colorare le cose con la tua luce fioca: il tuo oggetto, il tuo senso, in mancanza di un altro, bisogna che tu lo tragga da te stesso. Eccoti allora obbligato a mostrarti soddisfatto di te stesso nel tuo deserto perché al di fuori di te non c’è più nient’altro. Ed eccoti ormai condannato a gridare ‘Io, io, io’ nel vuoto, senza che a ciò vi sia una risposta” (36) .
E’ da questa deriva solipsistica ed autoreferenziale dell’uomo che scaturisce l’esigenza di un’apertura verso l’Altro, che non è l’irraggiungibile “Totalmente Altro” che incute timore e tremore, ma un Altro domestico che fa capolino da ogni angolo di strada.
[Fine dell’articolo]
Se hai letto fin qui, ti interessa approfondire l’argomento e vuoi iniziare a giocare e fare domande direttamente a Paolo Maria Clemente, trovi il gruppo segreto fb, qui: Derivar Transumanar
…nell’ultima parte, la sesta, pubblicheremo la bibliografia completa con tutti i riferimenti.
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(21) Il film è uscito nel 1979, quando fare stalking significava ancora “muoversi con circospezione”.
(22) A. de Saint-Exupéry, Cittadella, p. 199.
(23) A. de Saint-Exupéry, Cittadella, p. 216.
(24) Anche se nella deriva l’uso ordinario non viene abolito perché continua a sussistere in una dimensione parallela a quella del gioco (Cfr. E. Fink, Oasi del gioco, p. 26).
(25) Cfr. C. Castaneda, L’arte di sognare.
(26) Cfr. S. Aizenstat, Vegliare il sogno, p. 156.
(27) Parafrasi di un pensiero di W. Benjamin a proposito di Parigi, che si schiude davanti al flaneur “circondandolo come una stanza” (cit. in D. Vazquez, Manuale di psicogeografia, p. 51).
(28) Lampeggiando sulle palpebre dell’aspirante onironauta durante la fase REM del sonno.
(29) Dal momento che le prime applicazioni tecniche in grado di migliorare la vita della gente giunsero in un’epoca di molto successiva a quella della nascita della scienza sperimentale.
(30) Ad esempio P. Churchland, L’io come cervello, p. 22.
(31) Le scienze empiriche, dice Windelband, sono di due tipi: o cercano “il generale nella forma di legge di natura o il singolare nella forma storicamente determinata… Le prime sono scienze di leggi e le seconde sono scienze di avvenimenti; quelle insegnano ciò che è sempre, queste ciò che è stato una volta” (W. Windelband, “Storia e scienza della natura”).
“Il Sogno Lucido e la Deriva Transumana”
è un articolo in 5 parti (+1) di Paolo Maria Clemente. Queste verranno pubblicate in successione qui nella sezione “Agitazioni” del sito. È un’introduzione ai fondamenti teorici del “Gioco della Deriva“ – che Paolo ha chiamato così in onore al primo che ne ipotizzò una qualche esistenza: Guy Debord, negli anni ’50 – , in cui si intrecciano le idee dei situazionisti; quelle sul sogno lucido; la psicologia analitica; lo sciamanesimo.
Il “Gioco della Deriva” è un modo di esplorare, di “eccitare” il mondo, incredibile, con una serie di risvolti metafisici di enorme rilievo, secondo noi. È insomma una cosa da scoprire, importante ed avventurosa.
! A conclusione della serie, invieremo a tutti gli iscritti alla newsletter del lupo, il pdf completo con l’articolo integrale ed una proposta di gioco!
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Paolo Maria Clemente
nato a Sassari nel 1962, Paolo Maria Clemente è laureato in Filosofia e in Psicologia. Psicologo e psicoterapeuta attento al contesto sociale, esercita la libera professione ad Olbia e a Sassari. Dal 2000 al 2003 è stato rappresentante regionale per la Sardegna della “Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva” (S.I.T.C.C.) e dal 2004 al 2008 ha insegnato come docente a contratto “Elementi di psicoterapia in ambito educativo” nel Master in Clinica Educativa e dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi di Cagliari… […]
2 Comments
Un autore interessantissimo. Merita davvero di essere scoperto.
Abbiamo anche altre cose in programma con Paolo, molto interessanti…