A zonzo, per una storia musicale della leggerezza / 1
26 Aprile 2020DiscoRacconto | DIE – Iosonouncane
30 Aprile 2020trasumanar significar per verba non si poria; però l’essemplo basti a cui esperienza grazia serba. S’i’ era sol di me quel che creasti novellamente, amor che ‘l ciel governi, tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.
Dante Alighieri – Paradiso canto I, 72-75
A cura di Paolo Maria Clemente
A differenza della deriva ludica che ho descritto fin qui e che rimane nell’ambito della realtà consensuale, la deriva transumana richiede ai partecipanti un impegno ontologico a favore dell’esistenza di un’entità extraumana che sarebbe appunto la Zona. In questa prospettiva, i “segni” della deriva ludica diventano i “cenni” intenzionali con cui la Zona guida i derivanti lungo il percorso.
Mentre la deriva ludica somiglia ad un gioco di evasione, la deriva transumana non dà luogo ad un allontanamento dalla realtà ma semmai ad un suo intimo avvicinamento; se da qualcosa ci si allontana, non è dalla realtà ma piuttosto dall’ordinario stato di coscienza e dall’ontologia monistica che lo sostiene. Questo avvicinamento al cuore della realtà fa della deriva transumana un metodo di indagine filosofica e non semplicemente un gioco fine a se stesso. In questa prospettiva, i “cenni” che guidano i derivanti non sono più eventi casuali generati dall’anonima vita cittadina, ma costituiscono il linguaggio non verbale della Zona.
Per spiegare in che modo un luogo riesca a farsi capire anche senza usare le parole, racconterò la prima volta che ne ho fatto esperienza, anche se non si trattava di una deriva ma di una di una spedizione archeologica nella mia terra, la Sardegna. Stavo esplorando, con mio fratello, i dintorni di un nuraghe quando scorsi tra l’erba un buco che sembrava la tana di un animale. Anche guardandolo da vicino non sembrava che continuasse, finché il mio viso non venne accarezzato da una brezza fresca che proveniva dall’interno: la interpretai come un invito ad entrare. Non feci il ragionamento: “se fuori c’è caldo e da dentro arriva il fresco, significa che c’è un’ampia cavità sotterranea”; no, lo percepii proprio come un cenno rivolto a me. Con un atto di fede mi infilai dentro quel pertugio e scoprii così che immetteva in un ampio corridoio sotterraneo che correva tutto intorno al nuraghe, rivelando l’esistenza di un bastione interrato che da fuori non si poteva neanche immaginare!
In modo analogo, di cenno in cenno, si arriva al “tesoro” a cui la Zona intendeva condurre i derivanti: l’apparizione, ovvero un evento che ha il potere di stupire e far fermare i derivanti (9) ; e tuttavia questo tesoro non è un elemento essenziale perché si danno tranquillamente derive senza apparizioni e non per questo meno appaganti, perché il senso della deriva non sta nella meta ma nel cammino, cioè nel piacere di farsi portare a spasso dalla Zona sospendendo la propria volontà.
Non si danno invece derive prive di cenni, dato che questi sono sovrabbondanti e il problema semmai è come selezionarli; la maggior parte di ciò che si muove, infatti, viene scartato perché ridondante o perché privo della proprietà di indicare una direzione.
Particolare rilievo assumono invece i sincronismi (10) , come quando una porta viene aperta o chiusa nel preciso istante in cui stanno passando i derivanti o come quando un poster si stacca all’interno di una vetrina e cade proprio mentre un derivante lo sta guardando. Eventi come questi sono come una serie anomala di lanci tutti “testa” – o tutti “croce” – che può verificarsi solo nella fase iniziale di un esperimento statistico, perché con ulteriori lanci è destinata ad essere progressivamente “riassorbita” dalla norma per la legge dei grandi numeri. È questo un effetto già riscontrato da Jung negli esperimenti sui fenomeni paranormali dove la prima serie di prove è “quella che fornisce i migliori risultati, che poi diminuiscono rapidamente. Ma se si riesce a suscitare un nuovo interesse per l’esperimento (in sé noioso), anche i risultati riprendono a migliorare” (11) . Jung spiega questo decadimento con il venir meno della motivazione dell’osservatore, quel cuore che batte che caratterizza la ricerca filosofica, che non riconosce il suo fondamento nella sapienza ma nell’ “amore” per la sapienza. Quello stesso cuore che la scienza vorrebbe silenziare durante gli esperimenti di laboratorio.
Mentre la scienza richiede un atteggiamento disincantato ed il costante tentativo di falsificare le proprie ipotesi, all’opposto la deriva transumana esige un approccio credulo, in cui è necessario avere fede nella presenza di un’Altra entità che partecipa al gioco. Si dirà che questo è un ragionamento circolare, in cui si dà per presupposto ciò che si intende dimostrare, ma in deriva vale il principio “credere per vedere” e non “vedere per credere”.
Che l’attenzione dell’osservatore possa favorire i fenomeni sincronistici è un altro atto di fede senza il quale gli stessi fenomeni rischiano di passare inosservati. Ma una volta accettato che i fenomeni sincronistici sono favoriti dall’aspettativa dell’osservatore (12) , rimane ancora da capire quale significato rivestano all’interno della deriva transumana. I sincronismi si potrebbero, ad esempio, interpretare come il tentativo compiuto dalla Zona di trasmettere ai derivanti il meta-messaggio “questo è un gioco” (13). In altre parole, è come se la Zona strizzasse l’occhiolino ai derivanti, rivelando così che non si tratta del solito mondo inanimato, ma di qualcosa di “vivo” che, per quanto alieno, è in grado di giocare con loro.
Se dal punto di vista spaziale, la Zona indica il mutevole ambiente circostante, che si rianima per effetto della nostra attenzione, dal punto di vista temporale la Zona si manifesta soprattutto nei primi cenni, quelli che vengono colti quando la motivazione dei derivanti è più forte. Per poter mantenere alta la motivazione, dunque, la deriva deve essere breve: mezz’ora, un’ora al massimo.
E’ questa un’altra differenza rispetto alla tecnica ideata da Debord, le cui derive potevano durare giorni, settimane o mesi, senza soluzione di continuità tra giorno e notte. Alla fine del percorso, dopo che ci si è fatti sballottare qua e là dalla Zona, ci si sente spaesati nel proprio paese: nessuna delle vie che si sono percorse tornerà più come prima. Più in generale, chi ha partecipato alla deriva non come a un gioco fine a se stesso, ma come a un’apertura al mondo extraumano, guarderà con occhi nuovi al “mondo inanimato” (14) .
A questo punto occorre parlare della sensazione soggettiva dei partecipanti, cioè di ciò che provano i derivanti durante lo “sciacquettamento”. A deriva conclusa, il retrogusto è quello di essere stati portati, condotti, guidati, presi per mano dalla Zona. E quando si prova questa sensazione, la deriva transumana ha già sortito il suo effetto, perché il suo aspetto più inquietante è che qualcosa stia interagendo con noi, anche se non sappiamo dire cosa sia.
Siamo ben consapevoli di essere solo all’inizio di una ricerca che deve stabilire nuovi criteri di verità, che non possono essere gli stessi della scienza sperimentale. La rivoluzione epistemologica da compiere è considerare la deriva come una forma di interazione con quell’entità non umana che abbiamo chiamato Zona. Quali prove abbiamo? Nessuna, se rimaniamo nel quadro della scienza sperimentale; tutte, se guardiamo alla deriva dal punto di vista di un’ontologia dualistica.
Quest’ultima, infatti, ipotizza che nel gioco della deriva – oltre ai derivanti – sia coinvolto anche un Altro attore, ovvero la città, più precisamente quella porzione di città che satura il campo percettivo dei derivanti. Esso partecipa alla deriva facendo cenno ai derivanti.
Ricapitolando, la deriva transumana implica un’ontologia dualistica, ovvero la convinzione che intorno a noi ci sia qualcosa in grado di accogliere l’invito all’interazione. Non siamo soli in campo: c’è un’entità sconosciuta che ci rimanda la palla. Si tratta di una modalità di interazione che non è più il gioco autoreferenziale della deriva ludica, ma “gioco con”, collusione con una realtà Altra.
Ma se si gioca insieme, la relazione che si instaura non è più quella classica tra soggetto e oggetto: dalla relazione “Io-Esso”, caratteristica della conoscenza impersonale, si passa alla relazione Io-Tu che caratterizza le relazioni interpersonali (15). Ammettendo la collusione come una possibile forma di interazione tra l’Io e il mondo, l’epistemologia dualistica abbandona le ordinarie categorie della fisica e si colloca fuori dal perimetro della scienza normale.
La consapevolezza di star interagendo con un’Altra entità ha l’effetto di convertire l’ordinario in straordinario e di rendere significativo anche il più piccolo evento: un angolo sperduto della città diventa un oracolo dove una foglia che cade val più di una cattedrale.
[Continua….]
…nel prossimo appuntamento, Paolo ci parlerà
dell’ipotesi che l’attenzione possa alterare il concetto spazio-temporale; della possibile multidimensionalità del Tempo; di come riconoscere i messaggi della Zona dal rumore di fondo…
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(9) Nel mondo classico alla bellezza veniva appunto attribuito il potere di arrestare il moto (J. Hillman, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, p.100).
(10) A differenza di Aizenstat, preferisco parlare di sincronismi anziché di “sincronicità” perché i sincronismi sono pure coincidenze, mentre le sincronicità in senso junghiano hanno un significato psicologico più profondo (cfr. S. Aizenstat, Vegliare il sogno, p. 155).
(11) C. Jung, La sincronicità, p. 37.
(12) C. Jung, La sincronicità, p. 47.
(13) Cfr. G. Bateson, Questo è un gioco.
(14) Il concetto di “mondo inanimato” continua ad essere comunemente utilizzato nonostante la fisica dei quanti abbia dimostrato la sua inadeguatezza a descrivere le componenti ultime della realtà.
(15 )Cfr. M. Buber, Il principio dialogico.
●△● “Il Sogno Lucido e la Deriva Transumana”
è un articolo in 5 parti di Paolo Maria Clemente. Queste verranno pubblicate in successione qui nella sezione “Agitazioni” del sito. È un’introduzione ai fondamenti teorici del “Gioco della Deriva“ – che Paolo ha chiamato così in onore al primo che ne ipotizzò una qualche esistenza: Guy Debord, negli anni ’50 – , in cui si intrecciano le idee dei situazionisti; quelle sul sogno lucido; la psicologia analitica; lo sciamanesimo.
Il “Gioco della Deriva” è un modo di esplorare, di “eccitare” il mondo, incredibile, con una serie di risvolti metafisici di enorme rilievo, secondo noi. È insomma una cosa da scoprire, importante ed avventurosa.
! A conclusione della serie, invieremo a tutti gli iscritti alla newsletter del lupo, il pdf completo con l’articolo integrale ed una proposta di gioco!
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Paolo Maria Clemente
nato a Sassari nel 1962, Paolo Maria Clemente è laureato in Filosofia e in Psicologia. Psicologo e psicoterapeuta attento al contesto sociale, esercita la libera professione ad Olbia e a Sassari. Dal 2000 al 2003 è stato rappresentante regionale per la Sardegna della “Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva” (S.I.T.C.C.) e dal 2004 al 2008 ha insegnato come docente a contratto “Elementi di psicoterapia in ambito educativo” nel Master in Clinica Educativa e dell’Età Evolutiva dell’Università degli Studi di Cagliari… […]