La radio e la zona rossa
(trasmissioni-radio in quarantena)
La Radio sa cosa vuole dire “emergenza”, lo sa forse da quando è nata, quella mattina del 12 dicembre del 1901, quando Guglielmo Marconi ascoltò al ricevitore la lettera “S”, in codice Morse, da 3000 km di distanza.
Stamattina ascoltavo Diletta Leotta, che conduce una trasmissione su una famosa radio nazionale; non l’avevo mai fatto. Ho sognato stanotte che lo facevo, per cui semplicemente ho provato. In questi giorni non mi sono mai annoiato, ho visto tanti film, video, letto giornali, giocato con mio figlio, eppure, fare una cosa così banale ed “antica”, come ascoltare dalle casse quelle voci che raccontavano e ridevano, in un momento come questo, mi ha creato una specie di magia, bella, essenziale - parola utilissima in momenti come questi -: uno spazio di contatto con il mondo, più fisico, più reale, più ancorato al corpo. In un periodo strano come quello che stiamo vivendo oggi in Italia, chiusi in casa, uno potrebbe dire: sì, ma abbiamo la tv, i film, le serie, i social, tutti i video che vogliamo, ora addirittura PornHub gratuito. Sì, è vero, è così. Eppure la radio continua ad avere qualcosa in più (paradossalmente per sottrazione tecnica, tra l’altro): l’intimità, che riesce a creare attraverso le voci e l’ascolto, magari al buio, annullando completamente un senso della vista così frastornato ed attivando invece quello dell’immaginazione, così fondamentale, al contrario.
Si crea insomma una vicinanza, parola diventata estremamente complicata in questi giorni.
(trasmissioni-radio in quarantena)
La Radio sa cosa vuole dire “emergenza”, lo sa forse da quando è nata, quella mattina del 12 dicembre del 1901, quando Guglielmo Marconi ascoltò al ricevitore la lettera “S”, in codice Morse, da 3000 km di distanza.
Stamattina ascoltavo Diletta Leotta, che conduce una trasmissione su una famosa radio nazionale; non l’avevo mai fatto. Ho sognato stanotte che lo facevo, per cui semplicemente ho provato. In questi giorni non mi sono mai annoiato, ho visto tanti film, video, letto giornali, giocato con mio figlio, eppure, fare una cosa così banale ed “antica”, come ascoltare dalle casse quelle voci che raccontavano e ridevano, in un momento come questo, mi ha creato una specie di magia, bella, essenziale - parola utilissima in momenti come questi -: uno spazio di contatto con il mondo, più fisico, più reale, più ancorato al corpo. In un periodo strano come quello che stiamo vivendo oggi in Italia, chiusi in casa, uno potrebbe dire: sì, ma abbiamo la tv, i film, le serie, i social, tutti i video che vogliamo, ora addirittura PornHub gratuito. Sì, è vero, è così. Eppure la radio continua ad avere qualcosa in più (paradossalmente per sottrazione tecnica, tra l’altro): l’intimità, che riesce a creare attraverso le voci e l’ascolto, magari al buio, annullando completamente un senso della vista così frastornato ed attivando invece quello dell’immaginazione, così fondamentale, al contrario.
Si crea insomma una vicinanza, parola diventata estremamente complicata in questi giorni.
Da “Good morning Vietnam” a Radio Alice. In mezzo alle guerre ed alle situazioni critiche lei c’è sempre stata. Ed è sempre stata fondamentale.
Noi non siamo una radio mainstream, rimaniamo una piccola ed orgogliosa radio “libera”, per usare una definizione un po’ retrò; abbiamo però tanti ascoltatori che ci seguono da anni, per cui, insomma, ve lo dobbiamo un po'; ci siamo organizzati, ognuno nella sua postazione a distanza, ed abbiamo deciso di ritornare a trasmettere in questi tempi strani.
Faremo una serie di puntate un po’ speciali, in collegamento con amici che abbiamo intervistato in questi anni, tantissima musica,
ma soprattutto asciugamani.
Faremo una serie di puntate un po’ speciali, in collegamento con amici che abbiamo intervistato in questi anni, tantissima musica,
ma soprattutto asciugamani.
“La mattina del 12 dicembre tutto era pronto ed il momento decisivo si avvicinava. Nonostante un fortissimo e gelido vento, si riuscì ad innalzare, dopo molti vani tentativi, un cervo volante che sollevava un’estremità dell’antenna ad un’altezza di circa 120 metri. Alle 12.30, mentre ero in ascolto al telefono del ricevitore, ecco giungere al mio orecchio debolmente, ma con tale chiarezza da non lasciare adito a dubbi, una successione ritmica dei tre punti corrispondenti alla lettera “S” dell’alfabeto Morse. I segnali di ciò che, secondo gli ordini da me impartiti, venivano lanciati nello spazio dalla stazione di Poldhu, sull’altra sponda dell’Oceano.”
Guglielmo Marconi
Zone Rosse, Trasmissioni dalla quarantena
Le prossime puntate radio in Palinsesto
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